Oggigiorno si cercano corsi e “cammini” spirituali di ogni genere per rispondere alla presunta necessità di una trasformazione, ma spesso è solo un modo astuto di assumere l’ennesimo placebo per “addormentarsi meglio”, sedursi in nuove fantasie, in una realtà fittizia meno amara di quella che non si riesce ad affrontare in modo franco. E’ la moda del dopo 2012, un tentativo di “truccare” quello che si è ma con cui non si vuole avere veramente a che fare, quello che si è ma con cui non si sosterrebbe di convivere altrimenti, in fin dei conti per non cambiare mai.
Si continua a credere al cammino come qualcosa che ha a che vedere solo ed esclusivamente con il tempo e lo spazio, qualcosa di orizzontale da fare due volte a settimana per un anno o sei mesi a tot. euri, non cogliendo che non può che essere sull’asse delle Y e per tutta la durata della propria vita, un’incessante esplorazione, un cammino nei propri stati di Coscienza, un’andamento che ad un livello non è né locale né temporale, un andare dentro o in-ire assolutamente metaforico, non essendoci nessun dentro o fuori bensì solo diverse profondità o livelli di auto-conoscimento di sé. Metaforico, ed allo stesso tempo molto ma molto reale, come racconta il viaggio dell’Eroe (viaggio fino all’Eros, “essere l’eletto è come essere Innamorati”…) o quello di Dante, nell’attraversamento dei propri mondi (inferni innanzitutto…) per portarsi dalla schiavitù ad una condizione regale, paradisiaca, olimpica.
Questo non significa che tutto ciò, potendo avvenire in sé stessi, non necessiti di cambiamenti pratici fuori dal proprio spazio psicologico, tutto l’opposto, ma bisogna capire che è un cambiare una cosa per cambiarne un’altra… Sul piano pratico, la cosa più importante che ho individuato in questi ultimi anni è sicuramente una : la necessità ineludibile di un metodo e di una disciplina che interrompa il corso meccanico della propria condotta. Senza questo, nulla si può fare. Se sto mirando ad uno spostamento interiore in qualità o virtù, e che sia sopratutto stabile, rettificare una serie di attitudini e darmi un metodo non potrà che servirmi, non sarà a quel punto né un dogma né uno scopo, ma sarà uno strumento – a livello esteriore – per fare dei passi ad un altro livello o ordine di cose. Se però rettifico fuori e non ho chiaro questo ed aspetto che tali azioni mi cambino, se cerco corsi, e cammini per evitare di guardarmi dentro perché potrebbe deludermi o farmi soffrire (quella sofferenza che tanto evito ma che alle volte è l’unica medicina) , ho già sprecato tempo, soldi, e l’ennesima occasione di un qualche tipo di cambiamento. Bisogna imparare ad accorgersi di quanto arredare ed abbellire la propria casa sia curare il proprio spazio perché utile ad uno scopo vero e ben compreso, e quanto invece sia abbellirsi la prigione. Ed il paradosso è che dalla condizione da cui partiamo, non possiamo accorgerci di questo. Quello che è possibile, altro paradosso, è fare lo sforzo di arrenderci al fatto che non possiamo. Se riusciamo in questo, si apre la possibilità di promuovere un lavoro capace, mattone dopo mattone, di farci costruire le condizioni affinché accorgersi, essere Coscienti, inizi ad accadere. Da questo punto di vista non resta che iniziare ad attuare delle strategie per mettere in scacco il me stesso, l’io di turno, la nostra ordinarietà, che da un impulso profondo sentiamo di voler contro-vertire totalmente, sebbene tale impulso vada e venga.
Sarebbe assurdo pensare che un metodo possa essere trasferito in un articolo, in una ricetta, persino in un libro o in una conferenza. Sarebbe possibile forse se non ci fosse un bagaglio di influenze che rema contro, ma il foglio della nostra storia personale non è bianco, è molto ma molto imbrattato, abbastanza da riassorbire ogni nuovo stimolo allo sviluppo di sé nell’abitudine, se non sostenuto da una solida continuità e probabilmente anche da un’ambiente adatto a favorire tale continuità. Questo è uno dei motivi per cui serve una Scuola o Accademia, mentre tutto corre in un’altra direzione. Così come la società e le sue leggi sono adatte a distrarci continuamente da noi stessi e dalla possibilità di una condivisione ad altre profondità, uno scambio che vada al di là del raccontarsi il proprio auto-racconto o canzone psicologica come viene detta, al di là dell’intrattenersi nel soddisfare questo o quell’altro desiderio, così un ambiente diverso è necessario a farsi acceleratore di un’altro tipo di Crescita.
Il modo di vivere che si osserva oggi si protrae da millenni, ma non è stato e non è l’unico possibile. Diversi studi ci vengono incontro a suggerire che in tempi remoti un’altra armonia esistette, un equilibrio tra la forza maschile e femminile, una organizzazione senza governo e gerarchie. Le più grandi invenzioni basilari dell’uomo risalgono a molto prima di quando per la prima volta fu riscontrato un conflitto tra individui. Mi riferisco all’invenzione della ruota, all’uso del fuoco, all’agricoltura, all’ingegneria idraulica, all’invenzione dei numeri e del linguaggio… I primi mille anni Sumeri videro questa fioritura. Stiamo parlando di trasformazioni coscienziali potentissime, possibili solo in questo nuovo tipo d’uomo chiamato Sapiens, la cui differenza principale dagli altri Homo fu proprio la sua capacità di astrazione, unica nel suo genere. La capacità di astrarsi e percepirsi al di là di sé e dell’istante è la capacita con cui l’uomo ha potuto inventare strumenti per la caccia o per l’agricoltura premeditando le azioni a lui utili, addirittura con cui ha potuto costruire strumenti, o costruire strumenti con cui costruire altri strumenti…Da questa capacità derivano le più grandi intuizioni ed invenzioni, così come la compassione, la possibilità di mettersi nei panni degli altri. Per Platone tale dote metteva l’uomo in relazione con la vera Realtà, il mondo delle Idee. Dove è finita questa capacità? Oggi astrazione è distrazione da se stessi, chiacchiera mentale, immaginazioni positive o negative legate principalmente ai bassi istinti, con nulla di evoluzionistico a latere. In tutto ciò, sempre 6000-7000 anni fa, si rinvengono statuette di donne scriba, statuette di donne con orpelli magnifici, graffiti con uomini e donne uniti nello svolgimento di più mansioni, a suggerire delle donne l’importanza, e tra i generi l’armonia e l’equità. Dov’è finito tutto questo? Che non sia proprio questa disparità tra uomini e donne oggi, dai ruoli sociali a come si intende la sessualità, l’origine del degrado di questa civiltà… Come da tempo memore va avanti il decadimento umano o catabasi (dal greco κατάβασις “discesa”, di κατα- “giù” e βαίνω “andare”, discesa di una persona viva nell’Ade, o inferni atomici intesi come i mondi inferiori e più densi di noi stessi, non centrano fiamme e forconi… ) allo stesso modo la Sapienza di come non prendere parte a tale caduta, ma anzi di influenzarne il moto, ha viaggiato di secolo in secolo, conservandosi come ha potuto, un filo rosso che può essere ri-attualizzato nella propria vita passo dopo passo.Ma di certo non dall’oggi al domani! L’impresa di cui si parla è forse la più grande possibile per l’uomo, quindi non può avvenire con un click, o prodursi con un workshop di un fine settimana. Da Schiavi a Re in casa propria significa la più Grande Guerra (Jihad) o Opera di tutti i tempi, oltre ad essere il massimo modo di rendere Sacra la propria esistenza ( stessa radice di sacer, sacrificio ) . Le implicazioni di questo però non sempre sono chiare…
Si tende a credere che libertà sia “faccio il cazzo che voglio”, ma bisogna capire chi vuole cosa in noi stessi per capire davvero se si tratta di libertà o ancora di schiavitù, di catene che si nascondono in piaceri, desideri o passioni che pensiamo di gestire ma che ci gestiscono. Il malinteso sulla “libertà” continua nel ritenere che più se ne ha, meno si abbiano doveri o dover fare. “ Lo schiavo è schiavo perché è comandato e il Re è libero perché fa tutto“ è quanto di più deviato si possa pensare, frutto di come inevitabilmente la concezione piramidale e dispotica è parte del nostro modo di pensare ed essere cioè del nostro Condizionamento.
Piramide non è solo il profitto e la competitività sui grandi numeri, piramide è tutte le volte che consci o meno facciamo piccoli giochi di potere sugli altri, coercizioni emotive, mettiamo in ridicolo, giudichiamo e molto altro, tutto per affermare il nostro spazio, non riuscendo a renderlo inviolabile se non con tali sotterfugi, unico modo imparato, con il risultato di reiterare sempre binomi di dominio-sottomissione, come tra animali, ma con metodi sempre più sofisticati. Si tratta di nulla di più che di animalità, di territorio, e in un’epoca dove i pastrocchi di contenuti spirituali ai consueti interessi dell’io si fa dilagante, si arriva persino a scambiare l’idea di dover salvaguardare il proprio territorio di cui i tratti egoici spesso ne marcano i confini, con il concetto del curare il proprio spazio interiore o sacro. Lo spazio sacro o Tempio non è fisico, è la tua emissione, fin dove è sacralizzata è fin dove è resa viva e stabile, invincibile senza bisogno d’essere affermata o difesa esteriormente, dove nessun atomo di inferno può entrare. Se invece ci sono i varchi vuol dire che bisogna lavorarci, ma non di certo – per fare un esempio – scappando dai fattori che ti mostrano quegli stessi varchi, che ne so isolandoti in una montagna o cercando situazioni più comode e con più approvazione… Non sarà cambiato nulla realmente ! Il che spesso è sufficiente per l’io di turno, non sentire dolore… e rimanere nel sonno. E dove sarebbe in tutto questo la libertà? Semplice… non c’è. Al sintomo, si risponde con il farmaco convenzionale, senza estirpare la causa. Al tornare ad essere auriga della propria anima, si preferisce il suo naufragio nel caos reso impercettibile dal torpore dell’intrattenimento. Per questo si dice che è più comodo fare lo schiavo. Ma alle volte può accadere che qualcosa dentro mandi in scompiglio questi piani di accomodamento, cioè tu finalmente, qualcosa che ti prova ad urlare di svegliarti, e che ti ricorda che ti serve un lavoro su te stesso, una scuola, un metodo per cambiare tutto e stavolta per sempre, che non vuoi più la ruota del criceto su cui giri.
Libero (da libens, volenteroso), un grado di libertà ed un grado di Coscienza, quindi una Volontà operativa a farsi reggenti di se stessi… altro che vacanze… un lavoro obbligato, incessante, h24 ! Molto diverso da “assenza di responsabilità” o “comodità” per come essa è intesa in senso comune, o per meglio dire per come la intende il nostro egoismo o me stesso (che sei sempre tu) . Responsabilità – radice “Re”, ovvero colui che ha in sé il Ruah, nella tradizione ebraica lo Spirito di Dio, colui che lo incarna è Roeh, nome dato anche a quegli antichi profeti ebraici nei quali si riconosceva un alto grado di sviluppo. Il Roeh è guidato dal Ruah, serve al Ruah, è il “ripetitore di un segnale”… non di certo uno sprovveduto che fa quello che più lo aggrada o diletta da un momento ad un altro. Un Re è più libero di uno schiavo perché si è liberato con un sacrificio totale di sè, con la sua propria morte e rinascita si è procurato un grado di libertà, ma adesso che è Re ha anche una Responsabilità molto maggiore, deve saper governare perché non vada tutto a rotoli. Così essere Re in se stessi non significa essere dispotici con se stessi e torturarsi, ammazzare l’Ego (che sei sempre tu) o affermazioni simili, ma saper amministrare tutte le proprie parti, far funzionare il Regno, da casa disordinata a Regno (dei cieli). Altrimenti al Regno chi ci pensa? Se non siamo noi ed in modo Cosciente, sarà l’accidente (Gurdjieff docet), o ancora peggio le tendenze che abbiamo reso ipertrofiche e che ci allontanano da ciò che siamo di più autentico. Più liberi quindi non può che significare servitori di un’altra grandezza. E’ questo che non si capisce, e non si capisce perché a volere la libertà spesso è ancora il nostro egoismo, il me stesso che vuole lavarsi le mani di tutto. Dal nostro punto di vista si parla quindi di scegliere di cosa essere servo, servire i valori di questa società o servire un’altra grandezza. “Servire” anche nel senso di “a cosa servo”… che cosa ci sto a fare al mondo?
Un’enorme contributo a questa domanda nel mondo della scienza ci viene sicuramente dato dall’ingegnere Marco Todeschini e da quella che battezzerà come Psico-Bio-Fisica. Todeschini come Hamer, si potrebbe addirittura dire che di nuovo non scopre niente, ma allo stesso tempo rivoluziona tutto, per il suo fare precisa chiarezza su alcuni aspetti della natura umana. Nell’asserire che nella nostra natura più profonda siamo Psiche, sottolineando che l’essere di ognuno è totalmente immateriale, si sottolinea qualcosa che in realtà si è sempre detto, ma per capire con chiarezza le implicazioni bisogna eliminare ogni equivoco da ogni parola che usiamo, mettere bene in chiaro il campo di significato che ogni parola definisce. Psiche = Entità immateriale, così è descritta in filosofia, teologia, psicologia. Ma cosa significa materia? Cosa significa immateriale? Materia è una parola, con essa si indica per definizione qualcosa che ha una massa ed occupa uno spazio. Ne deriva che immateriale, sta per non avente massa e non occupante spazio. La scienza positivista, a proposito di Psiche, dice qualcosa che sembra diverso dalle altre discipline sopracitate, ma che a questo punto risulta invece sovrapponibile : si considera infatti la Coscienza umana, la Psiche, come il risultato del funzionamento del cervello. Non si considera essa il Cervello, ma il risultato del suo “funzionamento”. Ergo, un “funzionamento” non ha una massa riscontrabile… non occupa uno spazio, ma esiste… come i pensieri, i sentimenti, le emozioni, l’esperienza, le attitudini, come la quasi totalità di ciò che viviamo, che ha sulla materia un riflesso, un effetto, non ha una massa misurabile né uno spazio che occupa, ma è tutta roba che esiste. Immateriale, che centro-muoverà la materia, questo Etere, la materia indifferenziata che permea tutto il Cosmo. Le sensazioni così come i pensieri in tal senso, attribuite per consuetudine alla materia, come dimostrare che esse occupano spazio ? Come dimostrare che esse sono nella materia ? Non si può. Ed uno potrebbe giustamente a questo punto dire… embè? Materiale o non materiale, se una cosa mi spaventa, mi spaventa. Se mi fa star male, mi fa star male, eccetera. Corretto. Ma se la Credenza su cui fondi la vita è che tu sei materia, o sei la totalità dei tuoi pensieri, sensazioni, ed emozioni considerandoli anch’essi implicitamente materia, stai assumendo come assoluti tutta una serie di attributi degli stessi pensieri, sentimenti, ed emozioni, e li stai assumendo come assoluti della tua natura ultima, che essendo per Credenza di natura materiale, è limitata ad una massa, e ad uno spazio definito, a caratteristiche che non possono cambiare. Quello che sfugge è che abbiamo sotto gli occhi continue dimostrazioni del contrario. Esempio : se per me il colore verde è una minaccia, se è così che penso, ogni volta che vedrò il verde, in cascata avrò effetti sul piano fisico di un certo tipo, che ne so, tachicardia, respirazione aumentata, crampi. E’ la risposta sensata che mette in allarme il corpo, iper-attivizzandolo per fronteggiare il rischio segnalato (attacco o fuga). Tutto parte quindi da un comando, che ancora una volta non ha massa e non occupa spazio…da un livello totalmente immateriale. Ma andiamo avanti… Se “capisco” che il verde non mi fa nulla, altra cosa il “capire” che non ha massa e non occupa spazio, cambieranno sul piano fisico le mie risposte quando vedrò il colore verde.
Nella sua Teoria delle Apparenze con la concezione fluido-dinamica dell’Etere, dal macro-cosmo Universo al micro-cosmo Uomo, Todeschini traccia un modello coerente che attesta Psiche come l’origine di un moto, un’applicazione di una forza, immateriale.
L’etere, i bit di informazione viaggiano, totalmente inodori, insapori etc, secondo le leggi della fluidodinamica, investono le linee nervose e trasportate a Psiche, vengono rielaborate e restituite agli organi in forma di sensazione, in questo caso verde/minaccia o verde/influenza innocua, con le relative risposte. Il movimento d’etere farà si che esso raggiunge la macchina biologica ad una certa accelerazione, con una certa massa, per poi convergere in un luogo totalmente immoto e senza massa. Tutto ciò si sintetizza nella formula F = M *a, MM = M*a dove M è la massa d’etere in movimento ed ‘a’ la sua accelerazione. Veniamo al dunque… raggiunta Psiche, si crea la sensazione e quindi l’immagine della realtà in tutte le sue caratteristiche.Tale creazione, avviene in una dimensione dove non vi è quindi né Massa (M), né pertanto moto tra due punti a una data accelerazione (a). Si può infatti parlare di accelerazione solo quando c’è un moto tra due punti, e per essere misurata serve il parametro del tempo. Per cui, ove l’immagine della Realtà si produce, non vi è ne spazio… né tempo… Si riesce a capire l’implicazione? Forse no, forse ad un primo acchito sembra più una speculazione linguistica, ma il punto è che nelle parole non spiegate si imprime l’architettura cognitiva che non esaminiamo e che diventa l’insieme delle nostre credenze. Quello che infatti emerge da tutto questo è che la Coscienza, il modo in cui capiamo e che produrrà quella immagine del Reale, è senza spazio e senza tempo, cioè non è sottoposta a tali limiti. Potendo attingere ad uno spazio che non ha limiti di forma e di tempo, ed essendo quello stesso spazio lo spazio dove “capisco”, “comprendo”, “elaboro” la realtà, “ciò che sono”, tale ordine di mondo può in un istante, riflettere sul piano materiale processi che, secondo le convenzioni positiviste, sono degli assoluti, o nel migliore dei casi, necessiterebbero secoli per prodursi. L’intuizione infatti funziona proprio così. E’ un balzo nel non-tempo.
Il pensiero stesso non ha forma, non ha un limite fisico, come la memoria. Non è possibile percepire il tempo, ma soltanto movimento o assenza di movimento. Proprio quando fermo il movimento delle mie fluttuazioni, mi posso infatti avvicinare a quella verità percepita che è l’assenza di tempo. Ancora un esempio. Vivo una situazione nuova, mi sento inadeguato. Esempi di risposte: respirazione aumentata, sudorazione. Poi la esploro, e facendo esperienza acquisto sicurezza. Dov’è la sicurezza? Dov’è l’esperienza? Ancora parliamo di qualcosa di totalmente immateriale, ma che esiste, ed ha cambiato la materia, il tuo battito e la tua respirazione, la tua Realtà. Potremmo andare avanti all’infinito. La Rivoluzione di tutto questo non è che sono Dio, uno con Dio o che mi attraggo ricchezze in stile “The Secret”. La Rivoluzione è sostituire una Credenza non verificabile ad un Assunto che posso assumere perché contro-verificato in me stesso. Questo assunto, modifica drasticamente la bilancia tra vita esteriore e vita interiore, è un invito ad un altro uso dell’attenzione. Per quanto infatti un uomo sperimenti comunque la sua vita invisibile (pensieri,sentimenti,sensazioni), se la credenza fondativa è che la realtà oggettiva è solo quella che tocchi e che passa per i sensi, senza chiarire peraltro che le sensazioni non sono reperibili nella materia, spontaneamente il focus radicalizzerà sull’esteriore, e molto meno su quell’invisibile che esiste effettivamente e che ognuno sperimenta di continuo, creando il fatale sbilanciamento: una gran parte della vita sottile diventerà accidentale, piuttosto che Cosciente.
Alcuni filosofi la chiamano Inscienza o ignoranza metafisica di sè, cioè ignoranza della propria natura, che comunque vive, che ce ne rendiamo conto oppure no. Il nostro mondo interiore si processa anche senza la partecipazione della nostra attenzione; senza la nostra attenzione, ne consegue di esso una scarsa comprensione e gestione. In un caso, ti convinco di una realtà a priori che a quel punto inevitabilmente subisci per tua natura, in quest’altro, la subisci perché c’è un retaggio, ma questo retaggio può cambiare. La Coscienza intesa come la capacità di rendermi conto delle cose, di capire, in cascata può attivare processi a tutti i livelli, come dimostra il fatto stesso che non siamo gli stessi di un’anno o dieci anni fa. Un simile cambio d’assunto può diventare il fulcro di un assetto di vita completamente diverso, specialmente nell’ottica di un lavoro di scuola. E questo ci riporta alla questione della libertà e della responsabilità.
Se costantemente, il mio fare o non fare, il mio rendermi o meno conto delle cose, genera risposte o effetti, ovvero “crea”, volente o nolente, ne ho la responsabilità. Se rimango nell’immobilismo, il famoso silenzio assenso, ne ho ancora la responsabilità. Non posso esimermi da tale legge! E tutto ciò da un nuovo senso allo studio di sé e di come funzioniamo. Non si studiano i 5 centri della macchina per andare in giro ad auto-osservarsi col risultato di diventare pure più distratti di prima nei confronti del mondo e degli altri, si lavora a depositare goccia dopo goccia una maggiore e più autentica attenzione, un’aderenza spontanea alla propria vita interiore, di modo che quando si processa ciò che si processa sia sempre meno lasciato alla mercè delle cose ed abbia noi a viverlo in prima persona. Finche’ siamo meccanici e oscilliamo nell’attività dei centri o funzioni della macchina, non c’è spazio perché qualcosa d’altro emerga. Iniziare a conoscere tali sistemi ci permette di sperimentarci ad un’altro ordine e guadagnare spazio d’azione su quanto di consueto ci sballotta soltanto a destra e a manca. Lo stesso concetto di armonia tra i centri come necessità perché l’essere si manifesti, lo si trova anche in Platone, 2200 anni fa, il quale esprimeva il concetto di isonomia tra le funzioni dell’uomo come condizione necessaria affinché la sua vera natura intelligibile sia presenza attiva (nous, essenza) e la sua conseguente vera salute possa manifestarsi.
Sempre in Platone, un’ulteriore forte analogia emerge con gli studi di Hamer e del senso biologico. Platone sostiene che ciò che chiamiamo malattia procede dalla nostra natura più profonda e immateriale, da una disarmonia a quel livello (conflitto), più esattamente da qualcosa che a quel livello non è stato compreso (a-gnosis), e che a causa di ciò genererà sul fisico delle risposte sfavorevoli. Come è cardinale in alcune tradizioni iniziatiche quali la rosacruciana o quella massonica la trasformazione della natura inferiore per la fioritura di quella superiore (la Rosa), è per Platone la Conoscenza la chiave dello sviluppo interiore di ognuno; portando armonia ed equilibrio alla natura inferiore, che se non è istruita genera nella persona caos, desideri disordinati, l’Uomo può emergere, risolvendo l’Animo nei suoi tre aspetti, quello Divino, quello Umano, e quello Demonico, a metà tra i due e che può farci tendere verso l’alto o verso il basso (Il Daimon è considerato originariamente una creatura appunto a metà tra cielo e terra, tra natura umana e divina). Platone, Gurdjieff, Hamer e Todeschini si ritrovano in tal proposito sullo stesso asse : per esservi la vera salvs, il nous dev’essere attualizzato e guidare l’anima nei suoi tre aspetti, dev’esserci il padrone di casa, psiche al comando del mezzo, la macchina, che per sua natura non farà altro che rispondere agli impulsi che riceverà dal pilota, in base a come egli capisce la Realtà.
“Malattia dell’anima è la stoltezza, e che di stoltezza ve ne sono due specie, la pazzia e l’ignoranza. E qualunque affezione si provi dell’una o dell’altra specie, si deve chiamare malattia. I piaceri e i dolori soverchi si devono considerare come le più [c] grandi malattie dell’anima. Perché l’uomo, che è in grande gioia o al contrario in grande dolore, affrettandosi a prendere quella tal cosa intempestivamente e a schivare quell’altra, niente può vedere né udir bene, ma infuria, e allora non è affatto capace di riflettere. […] Ma il vero è che l’intemperanza nei piaceri venerei prodotta nella più parte dalla condizione di questa sola specie, che scorre per i pori delle ossa nel corpo e l’inumidisce, diviene una malattia dell’anima. E quasi tutto quello che si chiama intemperanza nei piaceri e si vitupera, come se gli uomini fossero malvagi volontariamente, non si vitupera a ragione. Perché malvagio nessuno è di sua volontà, ma il malvagio diviene malvagio per qualche prava disposizione del corpo e per un allevamento senza educazione, e queste cose sono odiose a ciascuno e gli càpitano contro sua voglia. E d’altra parte anche quanto ai dolori, l’anima riceve similmente molta afflizione per causa del corpo. Perché quando gli umori delle pituite acide e salse e tutti gli umori amari e biliosi, errando per il corpo, non possono respirare al di fuori, ma, costretti dentro, confondono i loro vapori e li mescolano col movimento dell’anima, producono malattie dell’anima d’ogni specie, più e men gravi, più rare e più frequenti: e queste trasportate alle tre sedi dell’anima, secondo quella a cui s’apprendono, producono molte specie di scontentezza e di scoramento o di audacia e di viltà o ancora di amnesia e di tarda apprensiva” (Platone, Timeo).
In base a dove stiamo sulla scala dell’umore o dell’essere, ci saranno cose che non faremmo mai, diciamo ad esempio se vi è una certa beatitudine, o cose che riterremmo sempre più lecite fare, qualora fossimo ad esempio pieni d’ira. Da come stai procede la tua scala di valori. Se però cambia lo stato…cambiano i valori… Come ben dice dal mio punto di vista Gurdjieff, l’uomo non può fare, per fare deve essere, e sicché si oscilla continuamente in mille stati, negli istinti alterati, nell’identificazione al mondo esteriore, nessuno di noi finisce per essere, e fondare su dei valori stabili. Il punto è che a questa condizione che apparentemente non ha soluzione di continuità, vi è soluzione potenziale, speranza, la Stella della Speranza, la coscienza stessa. Lo strumento con cui costruire quei valori, “scolpirli”, “scolpire” quella continuità di intenti che è lo stesso centro di gravità che descrive nei suoi scritti. Ed è a questo che siamo chiamati a ridare da bere, questo intento sommerso e che ogni tanto guizza fuori, o quantomeno a chiederci ancora, cosa voglio veramente? A cosa servo?
Se lo stimolo è a cambiare, la domanda diventa come cambiare? Ancor di più come stabilizzare un cambiamento, come lo fisso? Allo stato attuale non può che essere un lavoro, di modo che ciò che è un picco, un lampo di Coscienza, si prolunghi, essendo altrimenti destinato a riassorbirsi nello status quo o natura di mantenimento, il che se ci pensiamo è anche abbastanza sensato dal suo punto di vista (dal punto di vista della natura di mantenimento…) . Per sbloccare lo status quo, lo sforzo è ad intaccare le proprie tendenze, corromperle introducendo il virus della coscienza nel me stesso.
Di: Salvatore Porto
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I Racconti di Belzebù a suo Nipote Georges I. Gurdjieff |